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Un po' per lo schiamazzo che fanno, un po' per il
tremito della sottile crosta di terra che sembra sul punto
di aprirsi sotto i nostri piedi e scagliarci giù nel golfo di
fuoco (e questo è, fra tutti, l'unico pericolo reale), un
po' per il fuoco che ci guizza in faccia e per la pioggia
di cenere infuocata che vien giù; un po', infine, per il
fumo e lo zolfo soffocanti, ci sentiamo storditi e confusi
come ubriachi. Comunque sia, riusciamo ad arrampicarci
fino all' orlo del cratere ed a guardare giù per un istante
nell'inferno di fuoco che ribolle. Dopo di che torniamo
ruzzoloni tutti e tre, anneriti, bruciacchiati e scottati, col
corpo ardente per il calore e la testa che gira. Ognuno
di noi, inoltre, ha gli abiti bruciati in una mezza dozzina
di posti.

     Avrete letto mille volte che il sistema che solitamente
si usa per scendere è quello di lasciarsi scivolare giù per la
cenere che, offrendo al piede un piano di appoggio che va
gradatamente allargandosi, impedisce una discesa troppo
rapida. Al ritorno, però, quando abbiamo già attraversato
i due crateri spenti e siamo giunti a questo punto ripidis-
simo, non vediamo assolutamente cenere ma, come aveva
previsto Mr. Pickle, un liscio strato di ghiaccio.

     Per far fronte ad una situazione tanto difficile, dieci
o dodici guide si prendono per mano con grande at-
tenzione, formando una catena; gli uomini che stanno
più avanti usano i bastoni per aprire, come meglio pos-
sono, una sorta di impervio sentiero lungo il quale ci
apprestiamo a seguirli. Il percorso è terribilmente ripido
e nessuno della compagnia è capace di fare sei passi di
fila senza cadere, nemmeno le trenta guide. È necessario
far scendere le signore dalle lettighe ed affidare ciascuna
di loro a due persone esperte; altri due gruppi, intanto,
tengono loro sollevate le gonne, per non farle cadere in
avanti... una precauzione necessaria, che però provoca

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