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toli sassosi, simili a rampe di scale rozze ma ampie, che
infine lasciamo insieme ai vigneti che li fiancheggiano.
Emergiamo in una zona nuda e tetra, dove la lava si am-
massa in enormi cumuli color ruggine, come se la terra
fosse stata arata da folgori ardenti. Ci fermiamo ora ad
ammirare il tramonto del sole: chi abbia vissuto una simile
esperienza non può dimenticare come cambino aspetto la
desolata regione e l'intera montagna a mano a mano che
la rossa luce del sole vien meno ed avanza la notte ... e la
solennità e la malinconia ineffabili che avvolgono ogni cosa!
È buio quando arriviamo ai piedi del cono, dopo aver
serpeggiato alquanto su un terreno accidentato, estrema-
mente ripido, che sembra innalzarsi a perpendicolo dal
luogo dove noi smontiamo. La luce è quella riflessa dalla
neve dura, spessa e bianca che ricopre il cono. Fa molto
freddo, adesso, e l'aria è pungente. I trentuno uomini non
hanno portato torce, perché sanno che la luna si alzerà
prima che si giunga alla cima. Delle tre lettighe, due sono
riservate alle signore, una ad un signore di Napoli piuttosto
corpulento che è stato spinto dal suo senso dell' ospitalità
e dal suo buon carattere a prendere parte alla spedizio-
ne ed a fare gli onori di casa della montagna. Questo
corpulento signore è trasportato da quindici uomini, le
signore da una mezza dozzina di uomini ciascuna. Noi,
che procediamo a piedi, facciamo del nostro meglio con
i bastoni, e così l'intero gruppo comincia ad avanzare
faticosamente sulla neve... come se si sforzasse di salire
in cima ad una antidiluviana torta dell'Epifania!
Si sale a lungo, a fatica. Il capo delle guide getta uno
sguardo inquieto attorno a sé quando uno della compagnia
(non è un italiano, sebbene sia da anni un habitué della
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