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Dopo lo stupore provato nell' andare su e giù per le
strade, nell' entrare ed uscire dalle case, nel varcare le
soglie dei penetrali dei templi di una religione scompar-
sa dal mondo, nel rinvenire tante tracce così fresche di
un' antichità così remota - come se il corso del tempo si
fosse arrestato dopo una tale devastazione e non ci fos-
sero stati più, da allora, né notti né giorni, né mesi, anni,
secoli - nulla è più impressionante e terribile delle molte
prove della capacità di penetrazione della cenere, chiari
indizi del suo potere irresistibile e della impossibilità di
sfuggirvi. Nelle cantine essa si fece strada nelle anfore di
terracotta, scacciandone il vino e colmandole di polvere
fino all'orlo. Nelle tombe spazzò via dalle urne funerarie
le ceneri dei morti e vi fece cadere la propria, nuova
pioggia di morte. Le bocche, gli occhi, i teschi di tutti
gli scheletri si riempirono di una simile terribile grandine.
Ad Ercolano, dove la piena fu diversa e di un tipo più
denso, la cenere si riversò come un mare. Immaginate un
diluvio d'acqua che diventa marmo nel momento m cm
più infuria: ecco quella che vien detta «lava».

     Alcuni operai stavano scavando il tetro pozzo sul cui
orlo noi ci troviamo adesso e ne osserviamo il fondo,
quando si imbatterono in alcuni dei sedili di pietra del
teatro (gli scalini - perché tali sembrano essere - che
si trovano al limite estremo degli scavi) e scoprirono la
città sepolta di Ercolano. Scendendo senz' altro giù nel
teatro con l'ausilio di torce accese, siamo sconcertati
dalle grandi mura di spessore enorme che si levano qua
e là in mezzo alle gradinate e allungano le loro masse
informi nei punti più assurdi, ostruendo il palcosceni-
co e rendendo confusa l'intera pianta del luogo che si
muta in un sogno caotico. Sulle prime non riusciamo a

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