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mca di vedere il Distruttore e ciò che è stato distrutto
composti assieme sotto il sole in questo placido quadro.
Mettetevi poi a vagare intorno ed osservate, ovunque vi
giriate, i piccoli, familiari segni di vita quotidiana, propri
di luoghi abitati: la traccia lasciata dalla fune sull' orlo
di pietra del pozzo ora asciutto, i solchi delle ruote di
carro sul lastricato della strada, l'impronta lasciata dalle
tazze sul banco in pietra della mescita di vino, le anfore
riposte nelle cantine delle case private centinaia di anni
fa e rimaste intatte fino ad oggi ... tutto questo rende la
solitudine e la malinconia del luogo mille volte più so-
lenne di quanto non accadrebbe se il vulcano, nella sua
furia, avesse spazzato via la città dalla faccia della terra
e l'avesse scagliata in fondo al mare.

     Dopo che la città fu scossa dal terremoto che pre-
cedette l'eruzione, alcuni artigiani vennero impiegati per
scolpire nella pietra nuovi ornamenti per i templi ed altri
edifici che erano stati danneggiati. La loro opera è qui,
fuori della porta della città, come se essi dovessero ritor-
nare domani.

     Nella cantina della casa di Diomede, ove vennero
rinvenuti accanto alla porta degli scheletri ammassati in
un sol gruppo, l'impronta dei loro corpi sulla cenere si
indurì assieme alla cenere stessa e si fissò fino a prendere
la forma di uno stampo, dopo che i corpi si furono ri-
dotti alle nude ossa. Nel teatro di Ercolano, similmente,
una maschera comica, galleggiando sulla corrente ancora
caldissima e liquida, vi stampò le sue fattezze che imitano
quelle umane, ed oggi rivolge al forestiero la medesima
espressione fantastica che duemila anni fa, nello stesso
teatro, presentava agli spettatori.

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