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divampando grandi lingue di fuoco che fanno la notte
rossa di fiamme e nera di fumo, chiazzandola di pietre e
ceneri iridescenti che si lanciano in alto come piume per
poi precipitare come piombo. Nessuna parola potrebbe
dipingere la paurosa grandiosità della scena!

     Il terreno pieno di crepe, il fumo, il senso di sof-
focamento che dà lo zolfo, la paura di sprofondare nei
crepacci che si aprono come bocche, il fermarsi di tanto
in tanto a cercare qualcuno che si è smarrito nel buio (il
fumo denso oscura la luna, adesso), l'intollerabile baccano
prodotto da trenta uomini, i rauchi boati della montagna,
rendono la scena così confusa, che di nuovo ci arrestiamo
incerti. Tuttavia, trasciniamo le signore attraverso questo
cratere spento ed un altro che si trova ai piedi dell' attuale
vulcano, al quale ci approssimiamo dal lato donde soffia il
vento. Ci sediamo ai suoi piedi e guardiamo in alto senza
parlare. Riflettiamo sul fatto che in questo momento il
vulcano è ben cento piedi più alto rispetto a sei settimane
fa, e così riusciamo a farci una vaga idea di quanto sta
accadendo al suo interno.

     N el fuoco e nei boati c'è qualcosa che fa nascere
il desiderio di accostarsi sempre più al cratere. Non ci
fermiamo a lungo, e in due, accompagnati dal capo delle
guide, cominciamo ad arrampicarci carponi verso l'orlo
del cratere fiammeggiante per tentare di guardarci dentro.
Nel frattempo i trenta urlano come un sol uomo che si
tratta di un tentativo pericoloso e, nel mentre seminano
il terrore nel resto della compagnia, ci gridano di tornare
indietro.

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