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un gran clamore di voci e da una eccitazione che non
pensavamo di poter destare con le nostre umili persone
finché, entrando nel cortile, scopriamo che un francese,
membro di una comitiva che era stata sulla montagna
contemporaneamente a noi, è disteso su un po' di paglia,
con un arto spezzato. È pallido come un morto ed è tor-
mentato da grandi dolori, perciò si era sicuri che a noi
doveva essere capitato qualche incidente anche peggiore.

     E così, «Ben tornati, e che il Cielo sia lodato!», come
dice in tutta cordialità il vetturino che ci ha tenuto com-
pagnia fin da Pisa. E via, coi suoi cavalli già pronti, verso
Napoli, dove si entra mentre la città ancora dorme.

     Eccola che si risveglia coi suoi Pulcinella, borsaioli,
buffi, mendicanti, stracci, burattini, fiori, splendore e
sporcizia e generale degradazione: la città stende al sole
la sua veste da Arlecchino, oggi come domani. Sulle rive
del mare, essa canta, fa la fame, balla, gioca, e lascia ogni
fatica alla montagna ardente che non si posa.

     Se i nostri patiti di musica ascoltassero, in Inghilterra,
un'opera italiana cantata in maniera anche più soddisfa-
cente rispetto a quanto ci è capitato di udire stasera coi
Foscari nello splendido teatro San Carlo, leverebbero alti
lamenti sul cattivo gusto nazionale. Al contrario, il pic-
colo e malandato San Carlino (il barcollante edificio ad
un piano situato, con la sua sgargiante facciata dipinta,
in mezzo a trombe e tamburi, coi suoi saltimbanchi e la
sua maga), non ha rivali al mondo per la naturalezza ed
il vigore con cui viene colta e rappresentata la vita reale
che vi si svolge intorno.

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